Ogni anno i buoni propositi circa la volontà di far prosperare questo spazio vanno a farsi benedire, ma la fedeltà ai miei dischi preferiti dell’anno, quella resta. Per il 2019 ho fatto venticinque: sono quelli che ho amato di più e ho ascoltato la sera e la mattina. E poi ancora. Tra piccoli mondi da camera che si aprono verso distese blu pop, ottovolanti d’amore con vagoni rosa di psichedelia, cappelli da pirata con granelli d’oro e d’avanguardia e tante altre storie. Alle volte sembrano arrivare dal futuro e altre dal passato, ma, se osservate attentamente, parlano proprio del nostro presente.
1. Kelsey Lu – Blood
Dal 2016, anno del suo primo e unico EP, ad oggi, Kelsey Lu ha prestato la sua penna e il suo violoncello per tantissimi artisti, esperienze che sicuramente hanno formato questo gioiello che abbiamo tra le mani. In Blood il suo piccolo mondo da camera – l’apertura di Rebel – incontra episodi folk sospesi nel tempo – Pushing Against the Wind – fino ad abbracciare una più vasta dimensione chamber pop influenzata dalla spaziosità losangelina – con buona pace del Baumbach di Marriage Story – come le distese del primo singolo Due West. Con produttori del calibro di Rodaidh McDonald, Jamie xx e Skrillex, Blood è un debutto di cangiante talento che riesce ad ammaliare nota dopo nota.
2. Tyler, the Creator – IGOR
IGOR è un disco avvincente: ha una produzione impeccabile, un’orgia perfetta tra un fare hip hop di sfavillante soulness e una wunderkammer di suoni in grado di spettinare le orecchie, nel suo spaziare da canonico rap a mine psych pop dai ritornelli efficacissimi, che tratteggiano una storia d’amore: dal tellurico innamoramento di EARFQUAKE, fino alla volontà di restare amici di ARE WE STILL FRIENDS?. Ma il fascino di IGOR inizia da una bellissima copertina e da una produzione videomusicale tra le più belle dell’anno, aspetti sempre più sottovalutati, in un paradosso, nell’era dell’immagine in cui viviamo.
3. FKA twigs – Magdalene
Il disco umano di FKA twigs, di un alieno caduto dal cielo, proprio come in uno dei migliori singoli, nonché videoclip dell’anno, Cellophane, diretto da Andrew Thomas Huang. Immagini che rivelano anche una certa plasticità materica, fin dalla copertina del resto, in un disco lenitivo e profondamente femmineo che insieme a quel titolo, Magdalene, scardina la bidimensionalità cui sono relegate le donne dello spettacolo: grandi puttane o vergini intellettuali. A woman’s work, quindi, di un’artista in continua esplorazione rispetto alla sua vocazione originaria di coreografa e ballerina; figura chiave degli ultimi dieci anni, capace di portare tessiture elettroniche all’avanguardia al servizio di un pulsante cuore R&B, con una visione lucida e totale del fare spettacolo.
4. Lana Del Rey – Norman Fucking Rockwell
NFR! è il disco con cui molta critica ha definitivamente fatto pace con Lana Del Rey. Al netto della sua lunga durata e di brani che poco aggiungono alla cifra della cantautrice, resta però un disco imprescindibile per la qualità della scrittura, basti prendere le iniziali Norman Fucking Rockwell, Mariners Apartment Complex, Venice Bitch, la cover di Doin’ Time – con il suo videoclip diretto da Rich Lee, tra i migliori dell’anno – e The Greatest: sublime ballata dissoluta e disillusa, al contempo chiamata culturale alle armi contro le derive alt-right e l’incuria verso il pianeta. Insomma, sotto la patina fuori dal tempo, c’è un’attenzione per il presente, nonché la conferma di una delle migliori cantautrici degli ultimi dieci anni.
5. Caroline Polachek – Pang
Dopo la frattura degli Chairlift, che ha investito nella ricerca synth pop, Caroline Polachek affamata di nuova musica, ha tra le mani un disco neofolk, ma l’incontro – e l’intesa – con uno dei padrini della PC Music, Danny L Harle porta a questo Pang. Le sonorità radicali del collettivo sono qui limate, permane la volontà d’instillare spunti e svolazzi all’avanguardia in una nuova sintesi pop. Tra i meravigliosi brani citiamo Hit Me Where It Hurts e Door, in assoluto uno dei migliori singoli dell’anno, ma perché non menzionare anche So Hot You’re Hurting My Feelings che con quel verso criptato «Show me your banana», anticipava l’opera più famosa del 2019, quella di Cattelan.
6. JPEGMAFIA – All My Heroes Are Cornballs
Come frese sul comodino, come pentole sbattute in malo modo, come la musica di JPEGMAFIA: specchio del nostro presente social e dello shitpost, tra pornografia del meme, tweet grondanti d’odio e santi del giorno – Beta Male Strategies – in un disco profondamente politico, ma fortunatamente non politicamente corretto, violentemente punk, ma che si abbandona a sorprendenti ritornelli come in Jesus, Forgive Me I’m a Thot, anche se, come nel precedente VETERAN, siamo vittime di repentini cambi di carte in tavola, in uno dei dischi più riot, esigenti e scellerati dell’anno.
7. Massimo Pericolo – Scialla Semper
In un’annata rap che ha visto il trionfo di Marracash e per i più giovani di tha Supreme, Massimo Pericolo si è distinto per un approccio originale e urgente, complice un comparto produzione tra i migliori dell’anno (Crookers, Nic Sarno). Un disco d’esordio che deve il suo nome all’operazione di polizia che ha portato al suo arresto e che vanta brani già iconici come l’abrasiva 7 miliardi, ma conquista con Amici e la splendida Sabbie d’oro feat. Generic Animal e prodotta da Palazzi D’Oriente: il singolo italiano più bello dell’anno, che nell’era dello sventolato benessere delle megacities riporta l’attenzione su un racconto di provincia.
8. Little Simz – Grey Area
Quest’anno ci sono stati davvero tanti debutti di rap britannico in grado di far parlare di sé, anche oltre manica, basti pensare a Dave o Slowthai; ma a far scattare l’amore per molti è proprio il terzo disco di Simbiatu Abisola Abiola Ajikawo per un disco eclettico, tutto suonato in perfetta alchimia con il producer Inflo – già al fianco di Michael Kiwanuka, qui ospite in un featuring in Flowers. Un disco che parla di emancipazione e di crescita, con pezzi come Offence o Venom che mettono in mostra l’incredibile flow di Little Simz, in grado di riportare tutta questa energia anche sul palco.
9. Liberato – Liberato
Non mettere l’atteso esordio di Liberato tra i dischi più belli dell’anno sarebbe pura miopia. Uno dei progetti italiani più importanti degli ultimi dieci anni dove sonorità dal respiro internazionale convivono con una propensione melodica tutta napoletana, punto di forza dell’operazione insieme ai videoclip diretti da Francesco Lettieri, fondendo una mitologia unica nel suo genere, che convince anche sulla lunga distanza, affiancando ai grandi singoli del passato, come Nove maggio e Tu t’e scurdat’ ‘e me, nuovi brani che s’inseriscono alla perfezione nel progetto, come l’irresistibile Nunn’a voglio ‘ncuntrà.
10. Anaïs – Darkness at Play
Nel momento storico dell’urlato, il disco di anaïs è un vero e proprio balsamo per la gola: quintessenza art soul disseminata di piccole gemme in un disco prodotto al fianco di Om’Mas Keith. Trovarsi a guardare un vaso di girasoli pensando al miracolo del nostro pianeta e di quanto, nella nostra bolla, ci sentiamo impotenti di fronte al trionfo del brutto là fuori. Un buon punto di partenza è schiacciare play e abbandonarsi dall’inizio a questo trionfo di lenitiva intimità, in alternativa ci sono la bellissima Woman, con il suo videoclip diretto da Ana Sting, count to five, river e never been home.
11. Weyes Blood – Titanic Rising
Disco di maniera, un trompe-l’œil aquatico e cinematografico, ma d’innegabile fascino. Un immaginario di sonorità anni settanta in uno specchio d’acqua con il nostro presente di totale disillusione rispetto ai modelli propinati dalle macchine dei sogni. Grandi canzoni come Andromeda, Wild Time e ovviamente Movies: tra i singoli dell’anno, destinato a diventare un grande classico, magari sarà necessario renderlo digesto al grande pubblico in una scena di una serie TV, con buona pace del grande schermo del titolo.
12. Mark Ronson – Late Night Feelings
Mark Ronson entra in studio con l’idea di fare un disco di grandi hit e se ne esce con un disco di sad bangers, del resto è la bilancia perfetta del pop: grandi ritornelli pronti a squarciare tutti i cuori, anche quello strobo di copertina, immagine molto evocativa degli umori del disco, così come la dichiarazioni d’intenti del primo singolo con Miley Cyrus, Nothing Breaks Like a Heart. Ma le carte di cuori abbondano, basti citare solo una True Blue con Angel Olsen o la title track insieme a Lykke Li.
13. Billie Eilish – When We All Fall Asleep, Where Do We Go?
Uno dei debutti dell’anno, capace di catalizzare l’attenzione della critica e di un pubblico piuttosto vario, con un fandom indemoniato in prima fila e tutti i curiosi a seguito. Disco fin troppo vario e discontinuo, adatto invero all’era streaming, ma con un primo singolo come bury a friend che nell’era del ritornello urlato punta tutto sulla dinamica, e non può non sorprendere, soprattutto per gli ascolti. Sonorità in grado di stimolare gli adepti del fenomeno ASMR e un immaginario orrorifico che abbraccia in maniera originale l’adolescenza e i suoi disturbi. Tra i singoli dell’anno anche bad guy: come portata e influenza, il 2020 sarà già l’era post Billie Eilish.
14. Lingua Ignota – Caligula
La chiave di volta per comprendere Lingua Ignota è forse Butcher of The World, che riprende il tema di Henry Purcell reso noto da Arancia Meccanica, in uno slittamento tra la violenza e gli abusi domestici subiti; ma fare di Kristin Hayter solo una vittima sarebbe sbagliato, perché in Caligula c’è una riuscita alchimia tra death, neoclassica e noise, che l’artista porta in giro con un live che si trasforma in una evocativa messa per tutti nostri peccati.
15. Kate Tempest – The Book of Traps and Lessons
Come dice Stefano Mancuso ne La Nazione delle Piante, uno dei saggi del 2019, le Cassandre vengono allontanate per il loro sventurare in ogni dove, così Kate Tempest ci racconta il nostro presente con una penna lucidissima, qui lavorando per sottrazione musicale e mettendo l’accento sulla poesia, lasciandosi andare anche alla canzone d’amore dell’anno: Firesmoke. Volessimo abbandonarci in una parentesi non richiesta, al secondo posto tra le canzoni del e per il cuore, ci mettiamo I’ll Come Too di James Blake.
16. Erika de Casier – Essentials
Una delle sorprese dell’anno è sicuramente la danese Erika de Casier con questo disco di singoli che sembrano usciti da un pigro pomeriggio anni ’90 passato davanti alla rotazione musicale di MTV, per un R&B senzatempo tra g-funk, lounge e outsider.
17. Jannabi – Legend
Glorioso pop rock coreano investito da un’aura jazz senza tempo, il cui fascino inizia tutto dalla copertina di una gioia stridente e canzoni bellissime come joyful joyful, LEGEND, for lovers who hesitate e bad dreams, dove il limite invalicabile della lingua non penalizza assolutamente l’ascolto.
18. Barker – Utility
Il mondo dell’elettronica e nello specifico della techno senza beat mi ha sempre affascinato, l’atteso debutto di Barker, cofondatore della Leisure System, non è da meno: è un bellissimo viaggio molle per il corpo e per la mente, fondato sui gradienti di felicità, la rimozione del dolore e la ricerca del piacere.
19. Caterina Barbieri – Ecstatic Computation
Lo splendente minimalismo della Barbieri raggiunge largo consenso spingendo il suo lavoro sulla percezione ad una dimensione trance, in uno dei dischi più acclamati dalle riviste di settore. Continuo preferire il suo disco del 2016, ma Fantas sono in assoluto tra i miei dieci minuti preferiti del 2019.
20. E-Saggila – My World My Way
In questo assurdo revival di scarpe con le suole altissime, sorprende che non sia tornata a pompare la gabber. Fortuna che c’è E-Saggila, con il suo disco abrasivo che sbuffa anche techno industrial, dnb e ambient: vagonate underground, filtrate dall’odierno gusto HD, di cui non sapevamo di aver bisogno.
21. Angel Olsen – All Mirrors
Rinnovarsi disco dopo disco, ampliando la tela sonora, arrivare a quello che è senza dubbio il proprio album migliore in uno spazio vastissimo dove è facile perdere l’orientamento, ma nella grandiosità di arrangiamenti, Lark, All Mirrors e Chance sono un’ottima bussola delle cose migliori dell’anno.
22. Nick Cave and The Bad Seeds – Ghosteen
Nick Cave promette quello che preannuncia in una delle copertine più kitsch dell’anno: lande paradisiache di dissipazione del lutto e del dolore. Al centro la perdita del figlio, ma nota dopo nota a perderci siamo un po’ tutti, rimane il suo canto solitario in questa lunga ricerca di pace interiore.
23. DiMartino – Afrodite
Giocare la carta ITPOP, fenomeno che ha segnato gli anni dieci italiani tanto quanto la trap, ma senza testi da meme e con un solo obbiettivo: parafrasando alcune dichiarazioni di Kounellis, tratte da una delle retrospettive più belle dell’anno, circa la bellezza come forma di rivoluzione – e DiMartino lo sa.
24. Denzel Curry – Zuu
Accolto come un disco minore, qui in realtà convive un’alchimia perfetta tra le sonorità più abrasive di Denzel Curry e un bagno di sole nell’atlantica Miami, in un vero e proprio omaggio alla città, si ascolti ad esempio BIRDZ. Il rapper convince anche sul disco di Flying Lotus per Black Ballons Reprise.
25. Kelela & Asmara
Uno splendido mixato realizzato per festeggiare i 30 anni della Warp Records, dove avviene un incontro felicissimo tra la voce di Kelela e tracce selezionate insieme ad Asmara di Aphex Twin, Autechre e molti altri: meraviglia ambient R&B dove galleggiare in attesa di un nuovo disco della cantante americana.