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  • I miei dischi preferiti del 2022

    I miei dischi preferiti del 2022

    Eccoci anche quest’anno con i miei dischi preferiti dell’anno. In un’era sempre più sfuggente, il mio 2022 sembra essere dominato da dischi che non badano al minutaggio. Saranno sicuramente abbondanze post pandemiche, ma spesso arrivano a consolidare carriere pressoché decennali. Quest’anno ho fatto venti, forse anche l’anno scorso – e che belle copertine! E allora tra dischi rifugio da quel mondo là fuori, americana, rap intarsiato, folk, metal scarlatto, rock, blues, jazz, folk lunare, onirico, magico, fiabesco, trasfigurazioni sonore, trompe-l’oeil, giapponismi, pop rocambolesco e globale, ecco i miei 20 dischi preferiti del 2022. 

    1. Big Thief – Dragon New Warm Mountain I Believe in You

    Dragon New Warm Mountain I Believe In You è stato il mio disco rifugio del 2022. Doppio LP, in realtà, per venti canzoni che esplorano tutte le sfumature della formazione di Brooklyn capitanata da Adrianne Lenker. A tutti gli effetti un canzoniere scritto e registrato in differenti stagioni e latitudini degli States, senza un filo conduttore se non la forza del loro songwriting, all’insegna dello stato dell’arte dell’americana oggi: tra folk, rock, country e uno dei singoli più belli dell’anno, Simulation Swarm.

    2. Billy Woods – Aethiopes

    Billy Woods si è fatto notare per i suoi dischi a nome Armand Hammer insieme a Elucid, ma è quest’anno con Aethiopes – e il successivo Church – che cattura tutta la nostra attenzione! Avvolto da un Rembrandt di copertina, il rapper ripercorre la sua infanzia in Zimbabwe e intreccia un racconto tra spettri della colonizzazione e anticapitalismo, ma è l’intarsio con i beat lignei di Preservation, tra blues, folk, jazz e reggae, a renderlo uno dei dischi abstract hip hop più belli e affascinanti degli ultimi anni.

    3. Natalia Lafourcafe – De todas las flores

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    Dopo aver vagato per diversi anni sulle strade della trazione, con pregevoli dischi di reinterpretazione di grandi classici, la cantautrice di Veracruz ritorna con il primo album di inediti da sette anni a questa parte. E sembra che il cammino, gli incontri lungo la via, abbiano portato, senza troppi giri di parole, al capolavoro. In De todas las flores rivive quel fascino senza tempo che solo i grandi classici riescono a donare: tra il suo Messico e le nuvole, ariosa tristezza chamber folk e una soffice brezza jazz.

    4. Bilderbuch – Gelb ist das Feld

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    Uno dei gruppi rock più irresistibili degli ultimi anni, sempre in grado di incorporare con destrezza, disco dopo disco, nuove sonorità. Con Gelb ist das Feld imbracciano una dimensione più acustica e sembrano guardare a spaziosità e a percorrenze tipiche heartland, ma scorrendo tra i titoli e premendo play – l’iniziale Bergauf, la mia canzone dell’anno – veniamo travolti da un’inconfondibile anima latina. Tra amore sconsiderato per le chitarre e ritrovata ironia linguistica, un altro centro per gli austriaci.

    5. Beach House – Once Twice Melody

    Nel corso di quasi vent’anni di carriera il duo di Baltimora si è ritagliato un posto nell’olimpo del dream pop e in questo doppio disco, rilasciato in quattro capitoli mensili, le diciotto canzoni suonano come un loro best of, ripercorrono la magia della tavolozza sonora esplorata nel corso dei sette dischi precedenti. Once Twice Melody è allora l’opera definitiva dei Beach House, tra gli ultimi custodi rimasti di quella chiave sonora che spalanca le porte verso la loggia del sogno.

    6. Perfume Genius – Ugly Season

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    Se la queerification delle roots americane di Set My Heart on Fire Immediately segnava un nuovo apice nella discografia di Perfume Genius, Ugly Season, salutato come un album minore, che confina su disco musiche pensate per una dance piece con la coreografa Kate Wallich, ci mostra, in realtà, l’incredibile maturità e libertà artistica raggiunta dall’artista. Insieme agli immancabili Blake Mills e il compagno Alan Wyffels, il suo sesto disco è uno dei suoi più sfuggenti, sperimentali, erotici e belli.

    7. Širom – The Liquified Throne of Simplicity

    Il disco del trio sloveno Širom è stato senza dubbio uno dei miei viaggi musicali preferiti dell’anno. Un’ora e venti a bordo del loro folk immaginario: sessioni profondamente strutturate sul minimalismo, dove a vibrare sono alcuni strumenti balcanici e del Medio Oriente; le coordinate sono terrestri, le sensazioni sono fiabesche e magico lunari. Insieme alla compagna di etichetta Park Jiha – e il suo saenghwang – due dischi dove lo spazio folk è in grado di elevarsi e sconfinare verso il mio salotto.

    8. Weyes Blood – And in the Darkness, Hearts Aglow

    Secondo atto di quella che è diventata in divenire una trilogia, il sesto disco della cantautrice californiana prosegue nei territori anni ‘70 del precedente Titanic Rising, in una manciata di solenni canzoni baroque pop che sublimano gli abissi delle emozioni, sempre tra stucchevoli svolazzi trompe-l’oeil e horror (vacui). Mentre riascoltiamo due delle canzoni più belle dell’anno: It’s Not Just Me, It’s Everybody e God Turn Me Into a Flower, siamo in frenetica attesa del terzo e ultimo atto, di speranza – forse.

    9. Messa – Close

    Terzo disco per la formazione di Cittadella con le sonorità da loro stessi definite scarlet doom, dove l’universo metal, tra bordate heavy e ritmiche stoner, si apre verso altre influenze, interessanti pianori blues e psych folk. A guidarci lungo le dieci tracce di Close ci pensa la voce di Sara che su disco, come dal vivo, conquista anche chi non è solito a certe sonorità. E basterebbe l’iniziale Suspended o la bellissima Rubedo per afferrare la bontà del mio disco italiano preferito dell’anno. 

    10. black midi – Hellfire

    Il terzo disco dei black midi è all’apparenza un’opera art rock complessa e cacofonica, ma da vicino rivela in realtà un affabilità tutta melodica: tra attitudine prog, ritmiche math, sprazzi jazz, numeri cabaret, sipari folk e aperture a ballate blues e delicati field recordings. Hellfire è il disco migliore della formazione inglese, che non suonava mai così a fuoco, coesa e in pieno controllo delle sue potenzialità – anche in questo scenario da inferno circense, dove l’inferno è, in realtà, tutto dei personaggi che lo affollano.

    11. Hikaru Utada – Bad Mode

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    Salutato dagli esperti della star j-pop come il suo disco internazionale, con Bad Mode Hikaru Utada ha conquistato nuovi fan. Tra i vari produttori coinvolti nel progetto, Floating Points produce le mie tre preferite e forse le migliori del lotto, inebriate della sua visione jazz house: la title track, 気分じゃないの (Not in the Mood) e la traccia dance dell’anno: Somewhere Near Marseilles.

    12. Real Lies – Lad Ash

    Avevamo perso ogni speranza, ma magicamente, a sette anni da Real Life, eccoci con Lad Ash. Nel frattempo diventato un duo, a incarnare storyteller disillusi dal presente, agitati da quello stratificato e identitario bagaglio di sonorità da post rave che si riversa in spoken word esistenziali che, solo ora la notte fonda, ora l’albeggiare, manifesta con vivida e romantica epifania dentro di noi.

    13. The Weeknd – Dawn FM

    Immaginato come seguito ideale di After Hours, dopo una notte in sua compagnia ritorniamo verso casa in auto ascoltando Dawn FM: un ipotetico programma radiofonico di Jim Carrey, ma anche una carrellata di efficacissimi singoli, siamo su una stazione radio d’altronde. Si prenda uno dei miei preferiti dell’anno Less Than Zero, in trepidante attesa del prossimo disco – diurno?

    14. Stromae – Multitude

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    Lontano dalle scene da anni, Stromae affronta i suoi demoni con il suo terzo disco, nonché il suo più bello e coeso. L’artista belga si avvale, complice una produzione impeccabile e bellissime liriche, di elementi e strumentazioni da tutto il mondo. Tra french pop, rap, afrobeats e cumbie digitali, Multitude è perfetto esempio del viaggio come prezioso arricchimento del linguaggio pop.

    15. Alvvays – Blue Rev

    Il terzo disco dei canadesi Alvvays è innegabilmente il loro migliore. In Blue Rev risuonano quattordici canzoni all’insegna della perfezione noise pop, in un affogato di ritornelli e riff irresistibili; impossibile non innamorarsi, ascolto dopo ascolto, dell’una e dell’altra canzone. L’eterna adolescenza del gruppo è semplicemente invidiabile, contagiosa e tutta da cantare.

    16. Rosalía – MOTOMAMI

    Diciamo la verità, in MOTOMAMI manca forse la scrittura de El Mar Querer, ma è innegabile il fascino di questo corsa in motocicletta che in quaranta minuti ci sbatte in un caleidoscopio di sonorità, rombi scintillati di un’artista che ha saputo riversare il suo mood in uno studio – e poi sul palco – e ha nuovamente portato flamenco, bachate, etc. verso impensabili arene di coolness.

    17. LNDFK – Kuni

    Il debutto dell’italo-tunisina Linda Feki è un breve viaggio nu jazz dal respiro internazionale che potrebbe benissimo fare parte del catalogo dell’etichetta di Flying Lotus, fascinazioni nipponiche comprese – vuole essere un complimento, senza nulla togliere alla Bastard Jazz. Kuni è vario ma coeso e con identità e lancia LNDFK tra le artiste da tenere d’occhio nel panorama italiano.

    18. Denzel Curry – Melt My Eyez See Your Future

    Dopo Billy Woods il mio disco preferito dell’anno in ambito rap è sicuramente Melt My Eyez See Your Future di Denzel Curry. Ispirato, tra gli altri, dalla figura di Akira Kurosawa, infila tra le liriche, hook giusti, tra jazz – Melt Session #1 con Robert Glaspertrap, sfoghi drum and bassZatoichi con Slowthai – passando per uno dei singoli più belli dell’anno, Walkin.

    19. Liberato – Liberato II

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    Liberato continua ad incarnare uno dei progetti italiani più belli e da vantare, soprattutto a cinque anni dal quel primo NOVE MAGGIO, data in cui ogni anno ci si aspetta ormai sua nuova musica. Con Liberato II non delude le aspettative e anzi arricchisce il suo canzoniere, la sua mitologia di nuova canzone napoletana, basti l’apripista PARTENOPE o la bellissima ballata di ANNA

    20. Super Parquet – Couteau / Haute Forme

    Chiudiamo con un altro bellissimo viaggio musicale di trasfigurazione folk: i Super Parquet con il loro terzo disco Couteau / Haute Forme ci portano nell’Alvernia francese innestando la tradizione folk, anche qui, come il modus dei Širom, su sensazioni post minimaliste, seppur con attitudine diversa, ma giungendo a risultati analoghi in termini di splendida trascendenza sonora.


    also, MY FAV SONGS OF THE 2022


    1. Bilderbuch | Bergauf
    2. Big Thief | Simulation Swarm
    3. Bad Bunny feat. Buscabulla |Andrea
    4. Weyes Blood | God Turn Me into a Flower
    5. Mitski | The Only Heartbreaker
    6. Kuzu feat. Tanca | Tela Bianca
    7. Rosalía | SAOKO
    8. The Weeknd | Less Than Zero
    9. Hikaru Utada | Somewhere Near Marseilles ーマルセイユ辺りー
    10. Black Midi | Sugar/Tzu
    11. Beach House | Masquerade
    12. Jockstrap | Concrete Over Water
    13. Liberato | ANNA
    14. The Smile | Free the Knowledge
    15. Everything Everything | TELETYPE
    16. Danger Mouse & Black Thought feat. Michael Kiwanuka | Aquamarine
    17. Daniel Rossen | Shadow in the Frame
    18. Magdalena Bay | All You Do
    19. YAYA KIM | Anger Is My Power
    20. Denzel Curry | Walkin