I miei 20 dischi preferiti del 2018: tra folk bucolico e kafkiano, jazz, house, dischi lenitivi, fertilizzanti, colonne sonore, eleganza, sci-fi, casinò digitali, maschere, ricordi, migranti, dischi vampireschi, queerness, trap e tormentoni prêt-à-porter, flamenco, malammore e il pop che ci salverà.
20. Tirzah – DEVOTION
19. Sons of Kemet – YOUR QUEEN IS A REPTILE
18. LUMP – LUMP
17. Lucia Manca – MALEDETTO E BENEDETTO
16. A.A.L. (Against All Logic) – 2012 – 2017
15. Tim Hecker – KONOYO
14. Beach House – 7
13. KIDS SEE GHOSTS – KIDS SEE GHOSTS
12. Low – DOUBLE NEGATIVE
11. Haley Heynderickx – I NEED TO START A GARDEN
10. Tierra Whack – WHACK WORLD
WHACK WORLD è il debutto dell’artista di Philadelfia Tierra Whack composto da 15 tracce istantanee della durata di un minuto, ciascuna accompagnata da un videoclip: manifesto della sua inventiva e versatilità in movimento tra diverse sfumature di black music. Brevi episodi che richiamano la nostra fruizione digitale, lo swipe tra una storia e l’altra di Instagram o lo shuffle tra (album)playlist sui servizi di streaming. E il gioco è bello perché ciascuna traccia funziona anche al di fuori di questa operazione, se vogliamo, politica.
9. Jonny Greenwood – PHANTOM THREAD
Il musicista Jonny Greenwood, noto principalmente come chitarrista dei Radiohead, giunge alla quinta collaborazione con il regista Paul Thomas Anderson, con la sua colonna sonora, se vogliamo, più classica, senza tempo e intellegibile. Uno dei motivi che mi ha spinto ad inserirla tra i primi dieci, oltre alla sua bellezza intrinseca, è il film stesso, uscito in Italia con il titolo IL FILO NASCOSTO, il più bello visto in sala quest’anno – e perché HOUSE OF WOODCOOK andrebbe ascoltata una volta al giorno.
8. Myss Keta – UNA VITA IN CAPSLOCK
Myss Keta, ho sempre pensato avesse le ore contante ad ogni classifica di fine anno, e invece. Eccola indossare nuovamente la maschera del fantapop italiano, come anticipava nel videoclip del primo singolo, la title track UNA VITA IN CAPSLOCK. UNA DONNA CHE CONTA, davvero, oggi con un suono sempre più definito, merito anche dei produttori al suo fianco e di una videografia a suo modo impeccabile di Simone Rovellini. Un disco che sorprende soprattutto nell’inattesa seconda parte da vera outsider.
7. Leon Vynehall – NOTHING IS STILL
Da sempre votato ad un lavoro di ricerca e di amore per la musica elettronica senza confini, il producer inglese Leon Vynehall si lancia in un disco autobiografico ambizioso – accompagnato da un breve romanzo e da una serie di videoclip – che si sviluppa intorno alla storia dei suoi nonni, immigrati negli States negli anni ’60. Scritto e suonato insieme ad un ensemble acustico, è un disco di ricordi evocativo, dove MOVEMENTS (CHAPTER III), in simbiosi con il videoclip di Young Replicant, è uno dei capolavori dell’anno.
6. Arctic Monkeys – TRANQUILLITY BASE & HOTEL CASINO
Abitato da sontuose sonorità vintage rock, l’ultimo disco degli Arctic Monkeys racconta il nostro presente di Hotel e Casinò social, imbastendo un affascinante discorso sulla fama e sulle identità digitali che la vita online è in grado di offrirci. Il gruppo indossa abiti di scena in un disco molto meta e cinematografico, sì, science fiction, dalle splendide liriche, tra le migliori che mi è capitato di leggere quest’anno, decantate da un Alex Turner sempre più crooner indiscusso dei nostri tempi.
5. Sophie – OIL OF EVERY PEARL’S UN-INSIDES
Con il singolo IT’S OK TO CRY c’è stato l’inatteso coming out da donna transgender di SOPHIE, che si è messa a nudo anche dal punto di vista vocale, rinunciando alle sue pitchatissime voci marchio di fabbrica. Voci che in realtà permangono, così come l’amore per il teen pop d’antan tagliato con materiche e feticiste sonorità da club, in un disco fluido fatto di forti contrasti, sulla queerness, sul coraggio di mettersi in gioco, sulle nostre complessità, proprio come in IS IT COLD IN THE WATER?, fulcro di questo nuovo mondo.
4. Achille Lauro – POUR L’AMOUR
In un’Italia che disprezza la trap, a prescindere, Achille Lauro sforna uno dei dischi più belli e interessanti dell’anno, alla faccia di certo pop reazionario e di cantautori vetusti che lamentano il successo di queste generazioni debosciate. Trattasi invero di sambatrap, come dichiarato, anche se spesso evade dai generi in base al fiuto del produttore Boss Doms e, sotto una coltre di paillettes, sforna tormentoni prêt-à-porter e ci fa scoprire un amore per la lingua italiana e – ça va sans dire – la roba francese.
3. Yves Tumor – SAFE IN THE HANDS OF LOVE
Il debutto di Yves Tumor su Warp Records è uno dei dischi rock dell’anno, nonché uno dei più viscerali, proprio come le sue esibizioni dal vivo, avvolto in nuance sperimentali come ci aspettiamo oggi da un’etichetta di musica elettronica, basti ascoltare la tripletta NOID, LICKING AN ORCHID e LIFETIME. Un disco vampiresco, come da copertina, sull’altro da sé, quello che l’ignoranza coltivata porta a temere ed etichettare come nemico, o quello che ci può accadere di amare, passionalmente, anche solo per una notte.
2. Rosalía – EL MAL QUERER
La forza di Rosalía è quella di aver reso un genere come il flamenco affabile su grande scala, grazie a un’attitudine urban contemporanea. Undici capitoli, prodotti insieme a El Guincho, dove Rosalía incarna il dramma senza tempo del malammore. Che sarebbe stata una delle grandi rivelazioni dell’anno s’intuiva dalla scelta del collettivo di registi CANADA di mettere direttamente mano al videoclip di MALAMENTE (CAP.1 AUGURIO): uno dei più belli dell’anno, manifesto visivo della proposta musicale della cantante.
1. Kali Uchis – ISOLATION
Il debutto di Kali Uchis è il mio disco pop dell’anno, c’è, nei suoi testi, un messaggio di profondo empowerment che ribalta molti stereotipi di genere, è anche un perfetto esempio di come le contaminazioni culturali possano portare a ottimi risultati: quindici tracce che spaziano tra codificate sfumature black e sonorità latine – soul, R&B, hip hop, funk, bossa nova e reggaeton – prodotte insieme ad uno stuolo di ottimi produttori. Perché, a salvarci dal baratro culturale, sarà il pop, quello fatto bene e alla portata di tutti.