20 Dischi del 2016

20 dischi del 2016


I miei 20 dischi preferiti del 2016, quelli che ho amato e ascoltato di più quest’anno, non necessariamente i migliori, ma questo lo direte voi. Della morte e dell’amore, di introspezione, demoni e follia, è pioggia di piume e glitter, sono stelle nere di emancipazione e redenzione – in libera associazione di idee, suoni e visioni.

(La copertina contiene un link per l’ascolto del disco sui canali di streaming)

20. Gesu no Kiwami Otome. – Ryōseibai

Un disco che ho amato tantissimo, ma non è uscito per via ufficiale al di fuori del Giappone, motivo che mi spinge a metterlo in chiusapertura. Progetto del talentuoso Enon Kawatani, quest’anno al centro di uno scandalo sentimentale che ne ha causato un piccolo blocco artistico. Ryōseibai è un progressive pop tanto ricco di inventiva ma che non perde mai in intelligibilità – tutto da cantare, giapponese permettendo.

 Ryouseibai de ii ja nai, Romance ga ariamaruWatashi igai watashi ja nai no

19. Sylvia – Senza fare rumore

A me quella storia della vocalità profondamente italiana che abbraccia arrangiamenti tra la camera di un violoncello e quella di una scrivania di sintetizzatori mi piace così tanto che ve la ripropongo, Senza fare rumore sono canzoni sognanti tra un trionfo sommesso di classica moderna, sfocate tessiture di pianoforte dalle tinte ambient e increspature elettroniche. Tra i debutti italiani dell’anno, sicuramente il mio preferito.

 Si Ck, Pozzanghera, Luce

18. Kid Cudi – Passion, Pain & Demon Slayin’

PP&DS è un ritorno alle origini di Kid Cudi: hip hop introspettivo di vero e proprio abbattimento dei demoni della depressione in 4 atti per 87 minuti, da una prima parte chiusa su se stessa ad un finale più liberatorio, che vanta tra i migliori produttori della scena – ritornano anche Mike Dean e Plain Pat – nonché ospiti importanti come André 3000, Travis Scott, Pharrell Williams e Willow Smith.

 Releaser, By Design, Rose Golden, Does It, Kitchen

17. James Blake – The Colour in Anything

Lunghissimo e tortuoso sentiero di sonorità errabonde attraverso i tormenti soul del giovane cantautore inglese. Sì, una pesca gigante da mandar giù, di acquerelli emozionali spesso più immediati, a volte nuovamente sommersi in un vortice di capricci elettronici. Come un semenzaio impigrito, le sue canzoni devono sedimentare con il tempo per poi germogliare definitivamente nei nostri cuori.

 Radio Silence, My Willing Heart, I Need a Forest Fire (feat. Bon Iver)

16. Kanye West – The Life of Pablo

Un disco dalla genesi piuttosto inedita, fatta di ripensamenti e repentini cambi di scaletta, un esaurimento mediatico che ben rispecchia la follia del suo artefice, figura tra le più controverse eppur indispensabili dei nostri giorni. Meno folle, oscuro e sperimentatore di Yeezus, è formato da 20 brani che sembrano delineare una sorta di best of Kanye West, per il suo campionario di traiettorie sonore e samples.

 Ultralight Beam, Famous, FML, Real Friends, Wolves

15. Radiohead – A Moon Shaped Pool

I Radiohead giocano la carta del classico, come ritrovo dopo le sperimentazioni e le parentesi soliste che qui vivono in sinergia. A Moon Shaped Pool ha tutti gli ingredienti giusti, a partire da titolo e copertina, sembra innamorato del 1971, tra Gainsbourg e Nick Drake, altrove è classicista, come in Daydreaming incorniciata da un video di Paul Thomas Anderson o la tanto attesa versione in studio di True Love Waits.

 Daydreaming, The Present Tense, True Love Waits

14. The Avalanches – Wildflower

Sedici anni da Since I Left You e non sentirli, Wildflower è anacronistico seguito ideale per gli Avalanches, ancora a caccia di samples, incastonati in un disco sunshine hip hop che sorride a Brian Wilson. Sessanta minuti di continua allucinazione urbana inebriati dalla luce del sole, la giornata che cambia d’umore con lo sfarfallio di un cambio traccia: tutti a bordo di questa mirabolante casetta per un viaggio oltre l’arcobaleno.

 Because I’m Me, Subways, The Wozard of Iz (feat. Danny Brown)

13. Solange – A Seat at the Table

Aggiungi un posto a tavola, che viene Solange. A Seat at the Table è un disco R&B composto, alle volte un po’ troppo, ma per la sua forte natura conviviale è ideale da mettere su a cena e farlo arrivare tra le portate, forte di un’emancipazione personale – anche di smarcamento definitivo dall’ingombrante sorella Beyoncé – e di un’America che l’ha portato in una sorprendente prima posizione in classifica.

 Weary, Cranes in the Sky, Don’t Touch My Hair (feat. Sampha)

12. Jamie T – Trick

Per certi aspetti il disco british dell’anno, erede di un universo condiviso brit, attitudine punk, sprazzi di UK Hip Hop e R&B, vero segreto degli anni ’10, ed episodi più confidenziali. Un disco che arriva dopo AM degli Arctic Monkeys sì, ma in “Trick” ci sono 12 tracce spregiudicate che colpiscono sempre, tratteggiando differenti umori, dai più intimisti ad altri con hook efficacissimi da portarsi dalla strada al letto.

 Power Over Man, Police Tapes, Sign of the Times

11. Car Seat Headrest – Teens of Denial

Il coming of age errabondo, la depressione come medium che si distende in dodici canzoni garage rock dall’approccio lo-fi, ma prodigo di idee e soprattutto sorretto da un’ottima scrittura, anche nei testi che meritano una lettura durante l’ascolto. Nonostante la sua durata eccessiva, qualche brano in meno avrebbe giovato, Teens of Denial merita un posto tra gli inesistenti dischi indie rock dell’anno.

 Vincent, Drunk Drivers / Killer Whales, The Ballad of Costa Concordia

10. Amnesia Scanner – LEXACHAST + AS

Xperienz Designers alle prese quest’anno con LEXACHAST, progetto audiovisivo realizzato insieme a Bill Kouligas e le immagini di Harm van den Dorpelche, e un EP in sei tracce più fruibile, ad appannaggio di un’utopica comunità da club da intrattenere e sconvolgere. Virulenti paranoie elettroniche in alta definizione, ma sempre corrotte per far breccia nel vostro firewall: gli incubi musicali più avvenenti dell’anno.

 LEXACHAST, AS Chingy, AS Crust

9. Leonard Cohen – You Want It Darker

È impossibile scindere You Want It Darker dalla profonda dimensione spirituale di Leonard Cohen, che questa volta lo accompagna alla morte. Terzo disco insieme a Patrick Leonard – e in aiuto arriva anche il figlio, per trovare la formula perfetta per un nuovo piccolo classico in grado di imprigionare la voce iconica dello chansonnier che, come la luce, arriva prima di tutto e continuerà a viaggiare per sempre. It’s au revoir.

 You Want It Darker, Leaving the Table, Steer Your Way

8. Nick Cave & The Bad Seeds – Skeleton Tree

Altro disco con un epicentro nel lutto, questa volta un figlio, e le canzoni ne vengono investite. Da ascoltare in punta di piedi per paura di disturbare, s’insinua sotto pelle senza lasciarci più o fino al parziale superamento del dolore. È consigliata la visione di One More Time With Feeling, il doc sulla genesi del disco diretto dal regista Andrew Dominik, in grado di sprigionare tutta la potenza di Skeleton Tree.

 Jesus Alone, Girl in Amber, I Need You

7. Equiknoxx – Bird Sound Power

Impacchettato da Jon K e i Demdike Stare per la DDS Records, la musica della squad Equiknoxx è in sintonia con l’amore odierno del mainstream per la dancehall. Certo, qui il riddim è un amalgama con piumaggio e spauracchi juke, che rende il viaggio a bordo di Bird Sound Power una delle avventure elettroniche più stimolanti, divertenti e originali dell’anno: muovete le chiappe dinnanzi a questi splendidi uccelli giamaicani.

 Last of the Mohicans, The Link, Timebird, Congo Get Slap Like a Congo Get Slap

6. Frank Ocean – Blonde

Blonde o Blond, fa lo stesso, oggi la musica è genderless. Un flusso di coscienza ed emozioni, in un disco timido e frammentato. Confesso di non averlo amato da subito, poi è tornato, come un ululato. R&B/Soul minimale, fatto di sottrazioni, dove si asciuga tutto, di sconvolgente intimità, di chitarre e arrangiamenti molto poco in voga che Frank Ocean rende estremamente cool, scusate se è poco.

 Nikes, Ivy, Self Control, Nights

Beyond the Fleeting Gales5. Crying – Beyond the Fleeting Gales

Dopo i precedenti chiptune, nel loro debutto ufficiale i Crying fanno esplodere tutto il loro amore per il progressive pop: melodie luccicanti guidate da una timida voce nu gaze, che però non teme la sfrontatezza power di un passato musicale AOR, dalla ritmica heavy e il retaggio progressive, a partire da quella copertina molto cheap anni ’70, vera nota kitsch di un vortice sonoro che riesce a non esserlo mai.

 Premonitory Dream, Wool in the Wash, There Was a Door

Persona4. Lorenzo Senni – Persona EP

Vero e proprio Rave Voyeur, Lorenzo Senni approda su Warp Records con un EP bellissimo, portando avanti il suo discorso pointillistic trance molto personale che mai come oggi sembra strizzare l’occhio a strutture pop e ingrandire la sua tela di azione, grazie alle progressioni che scatena la sua Roland PJ-8000 tra euforia rave e meditazione. Un EP in 6 tracce, abbastanza per rivelare tutto il suo talento cristallino.

 Win in a Flat World, Rave Voyeur, Angel

Redemption3. Dawn Richard – Redemption

Dawn Richard chiude la sua trilogia con un altro disco bellissimo, altro universo sonoro di declinazione R&B, ma più sfacciatamente orientato alla dimensione da club, come luogo primigenio di abbandono e redenzione; alla consolle con Machinedrum che si affianca al fido Noisecastle III, tra UK Bass, wonky e jazzy brass sapientemente frullate in un ponte tra Los Angeles e New Orleans.

 Love Under Lights, LA (feat. Trombone Shorty)The Louvre

2. Danny Brown – Atrocity Exhibition

Il rapper di Detroit e il produttore Paul White in un disco unico e ambizioso, obliqua follia hip hop, flow rotolante senza sosta giù per un crepaccio, portandosi appresso gli incubi e i postumi stupefacenti della vita, insieme a detriti sonori di un lavoro sui samples strabiliante, tra post punk, jam progressive anni ’70, fanfare esistenzialiste sotto cassa Warp Records e old school, tra l’estatico e il lisergico.

 Dance in the Water, Pneumonia, Hell For It

1. David Bowie – ★ [Blackstar]

Uscita di scena in grande stile, in un canto del cigno sublimato in suoni e visioni – e basterebbe ripercorrere la recente videografia. David Bowie ci stupisce un’ultima volta con un disco coraggioso che mostra le rughe, rievoca le migliori pagine del suo passato, ma non si adagia sugli allori, muovendosi su un terreno ancora sperimentale che fonde la sua sempiterna wave con innesti electro, rock, progressive, urban e jazz.

 Blackstar, ‘Tis a Pity She Was a Whore, I Can’t Give Everything Away